Eluana: esilio illegittimo – Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4460/2014

L’organo supremo della giustizia amministrativa, con la sentenza n. 4460 del 2014, ha dichiarato l’illegittimità del provvedimento, già annullato in primo grado di giudizio dal T.A.R. della Lombardia, con cui la Direzione Generale della Sanità di questa Regione, aveva rifiutato di mettere a disposizione una struttura per la sospensione dei trattamenti che tenevano in vita Eluana Englaro

Il Servizio Sanitario, non può – afferma il  Consiglio di Stato – orientare la sua azione in base ad una concezione oggettiva della cura, che “consenta solo la prosecuzione della vita”. Né può “sottrarsi al suo obbligo di curare il malato e di accettarne il ricovero”, quando questi “rifiuti un determinato trattamento sanitario nella consapevolezza della certa conseguente morte”.

Non è soltanto il diritto alla salute a richiedere, per essere attuato, l’intervento dell’Amministrazione sanitaria, ma anche il diritto all’autodeterminazione terapeutica, che è parte integrante dello stesso diritto alla salute. Infatti, se si escludono i casi in cui l’interruzione di una terapia richiede una mera inerzia del paziente, come ad esempio sospendere l’assunzione di un farmaco, anche l’interruzione di un trattamento costituisce un atto medico, che nemmeno il paziente cosciente e capace di esprimere la sua volontà è in grado di compiere da sé.

Secondo il Consiglio di Stato, in qualunque forma esso si esprima, il diritto alla autodeterminazione terapeutica “può e deve, se lo richiede la sua soddisfazione, trovare adeguata collocazione e necessaria attuazione all’interno del Servizio Sanitario”. Infatti, “solo la diretta responsabilizzazione dell’organizzazione sanitaria consente di non vedere sacrificato, nell’eventuale conflitto tra medico e paziente, il diritto fondamentale di quest’ultimo”. Di fronte al rifiuto del singolo medico, la volontà del paziente può trovare attuazione soltanto se si riconosce “un vero e proprio obbligo di facere”  in capo all’Amministrazione sanitaria nel suo complesso. E tale obbligo non può venire meno neppure nel caso in cui a venire rifiutato sia un trattamento salva vita, la cui interruzione comporti la morte del soggetto “giacchè tale ipotesi non costituisce, secondo il nostro ordinamento, una forma di eutanasia, bensì la scelta insindacabile del malato di assecondare il decorso della malattia sino alla morte”.

Per cui, nei L.E.A. garantiti dal Servizio Sanitario devono rientrare, “pena l’incostituzionalità di un simile sistema, anche le cure connesse e conseguenti alla volontà di interrompere un trattamento sanitario di sostegno vitale, come l’alimentazione e l’idratazione artificiale”. Da una parte, infatti, la rimozione del sondino naso-gastrico, richiesta dal paziente, è – “al pari del suo posizionamento e, appunto, quale contrarius actus di questo – un atto medico, che richiede la necessaria cooperazione della struttura sanitaria”. Dall’altra, il paziente necessita di cure mediche e deve essere assistito anche durante la fase terminale che segue all’interruzione di un trattamento salva vita e l’Amministrazione sanitaria, di fronte al rifiuto di un trattamento, ha il dovere di farlo cessare, “senza cagionare sofferenza aggiuntiva al paziente”.

Tratto da: Enrico Bertrand Cattinari e Giovanni Barozzi Reggiani, Cura della salute e diritto amministrativo prestazionale. Al Consiglio di Stato l’ultima parola sul caso Eluana Englaro, Bioetica, n. 3-4, 2014, pp. 379-400. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4460/2014

Bioetica. Rivista interdisciplinare (Trimestrale della Consulta di Bioetica Onlus: http://www.consultadibioetica.org)

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2 Responses

  1. sintesi illuminante!! Grazie davvero.

  2. Mi sembra una delle sentenze più chiare emesse in materia, ben commentata e illustrata

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